Onorevoli Colleghi! - Sono da tempo percepibili in Italia una accresciuta sensibilità della società civile e una rinnovata volontà politica nei confronti delle tematiche dei diritti umani. Esse non escludono tuttavia il permanere di vaste zone d'ombra in cui lo Stato può di fatto operare libero da controlli efficaci, mentre l'opinione pubblica, sottoposta a ondate d'informazione fortemente emotiva, rimane sprovvista di strumenti permanenti di riflessione e di intervento. Inutile aggiungere che gli avvenimenti che caratterizzano l'attuale congiuntura sia italiana che internazionale rendono la situazione ancora più preoccupante.
      Nel tentativo di evitare il perpetuarsi di questa situazione, sia pure in mezzo a un proliferare di iniziative politiche lodevoli ma settoriali o locali e spesso inefficaci o parziali, da più parti è venuta maturando la convinzione che occorra prevedere una istituzione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani.
      Quella proposta è un'istituzione autorevole, indipendente ed efficace, con funzioni di formazione e informazione, coordinamento, controllo e impulso legislativo della complessa materia dei diritti umani, diritti che sono innanzitutto universali, indivisibili, interdipendenti; che coinvolgono ambiti sempre nuovi, dai diritti civili e politici a quelli economici e sociali, culturali e ambientali.
      La competenza dell'istituzione, costituita e composta con caratteri di pluralismo e rappresentatività, si esplica sia in politica interna sia in politica estera, poiché lo Stato italiano, come ogni altro Stato, è responsabile delle violazioni dei diritti umani sia all'interno del proprio territorio che all'estero, sia nei confronti di chi possiede la cittadinanza italiana che di chi non la possiede.

 

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      In seguito alla Conferenza Mondiale per i diritti umani tenutasi a Vienna nel 1993, e l'Assemblea generale delle Nazioni Unite adottano, il 20 dicembre 1993, la risoluzione n. 48 del 1934, che impegna gli Stati membri ad istituire organismi nazionali, autorevoli ed indipendenti, per la promozione e la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Dal 1993 diversi Stati hanno istituito questi organismi, altri sono impegnati nel farlo. L'Italia è uno dei pochi Paesi europei a non aver dato attuazione alla risoluzione ONU. L'Italia infatti, da un lato, non ha alcuna Istituzione nazionale del tipo descritto e propugnato dalle Nazioni Unite nella suddetta risoluzione, né dispone, d'altro lato, di una struttura a livello nazionale in grado di offrire almeno un punto di riferimento avverso i comportamenti delle Amministrazioni pubbliche commessi in violazione delle norme vigenti in materia di diritti umani, come quella del difensore civico nazionale. In tal modo il nostro Paese dovrebbe adeguarsi anche alle enunciazioni che sono contenute, per una effettiva applicazione dei principi di democrazia e trasparenza enunciati, nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
      La risoluzione ONU non è certamente rivolta solo ai Paesi nei quali si verificano violazioni dei diritti umani gravi e sistematiche, presumendo che Paesi come l'Italia che godono di un sistema democratico consolidato, dì un'opinione pubblica e di una società civile sensibili ai diritti e di un clima generale di libertà e di tolleranza possano astenersi dall'adempiere all'impegno assunto in sede ONU e fare a meno di un'Istituzione nazionale, autorevole ed indipendente, per la promozione e la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
      Anche l'Italia, al pari di tutti gli altri Stati, non è immune da rischi di violazioni dei diritti umani. Inoltre, la creazione di tale Istituzione appare tanto più necessaria se guardiamo alla sua valenza esterna e al ruolo che l'Italia può e deve attuare per la promozione e la protezione dei diritti umani nel mondo. Gli accresciuti impegni internazionali dell'Italia, la sua partecipazione a numerose missioni umanitarie, il suo ruolo di punta nella battaglia contro la pena di morte e per l'istituzione della Corte penale internazionale permanente rendono tale istituzione imprescindibile ed improcrastinabile. Solo un'Istituzione nazionale indipendente, infatti, è in grado di contribuire a monitorare lo stato dei diritti umani nel mondo in modo coerente, costante ed obiettivo e non frammentario e soggetto a varie contingenze e convenienze.
      In Italia attualmente esistono tre organismi che, pur svolgendo un'apprezzabile attività in materia di diritti umani a livello nazionale, non rivestono però tali requisiti.
      La stessa mozione n. 1-00020 del 2 agosto 2001, istitutiva della Commissione Straordinaria del Senato per la tutela e la promozione dei diritti umani, sottolinea l'esigenza di procedere in futuro alla costituzione di un organismo con poteri, competenze e funzioni permanenti e non straordinari, cosi da dotare anche l'Italia di una istituzione nazionale corrispondente al profilo tracciato dalla citata risoluzione ONU. L'obiettivo diventa perciò quello di istituire e disciplinare le funzioni, la composizione, le attribuzioni e i poteri affidati alla Commissione italiana per la protezione e la promozione dei diritti umani, di seguito denominata: «Commissione».
      All'articolo 1, si individuano le forme di autonomia riconosciute alla Commissione, nonché le modalità per la sua istituzione. La Commissione, costituita come organismo autonomo ed indipendente avente lo scopo di proteggere e promuovere ì diritti fondamentali della persona, enunciati dalla Costituzione e generalmente riconosciuti dal diritto internazionale, «opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione». Si è ritenuto opportuno, al fine di inquadrare le peculiarità di tale organismo, ricorrere alla definizione utilizzata dal legislatore per disciplinare le autorità indipendenti di più recente istituzione, in particolare il Garante per la protezione dei dati personali,
 

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istituito con la legge n. 675 del 1996 ed ora designato dal decreto legislativo n. 196 del 2003. Alla Commissione, in quanto organismo indipendente, è garantita autonomia contabile, organizzativa, patrimoniale, finanziaria e gestionale. Essa è composta da undici membri, nominati con decreto del Presidente della Repubblica, per adeguare la composizione alle richieste della citata risoluzione delle Nazioni Unite del 1993, in modo che sia «assicurata la rappresentanza pluralistica delle forze sociali (di società civile) coinvolte nella promozione e nella protezione dei diritti umani, particolarmente con poteri che rendano effettiva la cooperazione che deve essere stabilita con, o attraverso la presenza, di rappresentanti di: a) Organizzazioni non governative responsabili per i diritti umani.., sindacati, organizzazioni sociali e professionali interessate, per esempio, associazioni di avvocati, ricercatori, giornalisti ed eminenti scienziati; b) Tendenze nel pensiero filosofico e religioso; c) Università ed esperti qualificati; d) Parlamento; e) Dipartimenti del Governo (se questi sono inclusi, i loro rappresentanti dovrebbero partecipare alle deliberazioni solo in veste consultiva)». La designazione sarà quindi effettuata, con modalità da stabilirsi successivamente, dalle associazioni ed organi rappresentativi (Presidenti delle Camere, organizzazioni non governative maggiormente rappresentative nell'attività nazionale ed internazionale a difesa dei diritti umani e protezione contro la discriminazione, organizzazioni sindacali, Consiglio superiore della magistratura, Consiglio nazionale forense, Ordine nazionale dei medici e Ordine nazionale dei giornalisti, Consiglio universitario nazionale).
      I componenti della Commissione (che durano in carica cinque anni) eleggono nel loro ambito un presidente ed un vice presidente. Il mandato del presidente e del vice presidente, che può essere rinnovato per una sola volta, ha durata quadriennale. Per l'intera durata dell'incarico, il presidente ed i componenti della Commissione non possono, pena la revoca dalla carica, esercitare attività professionale e di consulenza, né essere amministratori o dipendenti di enti pubblici o privati. Se dipendenti di pubbliche amministrazioni, essi sono collocati in aspettativa.
      All'articolo 2 si definiscono i compiti della Commissione, tra i quali si segnalano: promuovere la cultura dei diritti umani, avvalendosi di tutti gli strumenti idonei; creare un foro permanente di pubblico confronto e discussione nel settore della tutela dei diritti umani; istituire, al proprio interno, un osservatorio per il monitoraggio del rispetto dei diritti umani in Italia ed all'estero; formulare, anche di propria iniziativa, proposte al Governo sulla materia; promuovere la firma di accordi internazionali in materia di diritti umani; cooperare con analoghi organismi internazionali o istituzioni di altri paesi; ricevere da singoli soggetti (o da associazioni) segnalazioni relative a specifiche violazioni o limitazioni dei diritti umani e adottare i conseguenti provvedimenti; promuovere l'adozione di codici di condotta da parte delle categorie professionali; predisporre annualmente una relazione sull'attività svolta e sulla situazione relativa all'attuazione ed al rispetto dei diritti umani in Italia ed all'estero.
      All'articolo 3 i individuano i poteri attribuiti alla Commissione, che sono articolati in poteri di accertamento, controllo e denunzia. In primo luogo, è prevista una generale facoltà di richiedere informazioni e documenti a soggetti pubblici e privati, fatti salvi i casi di segreto professionale d'ufficio o di Stato previsti dai relativi articoli del codice di procedura penale. Inoltre, si stabilisce che la Commissione, qualora ne ricorra la necessità, possa disporre accessi, ispezioni e verifiche dei luoghi, previa autorizzazione, in mancanza della collaborazione del/dei soggetto/i tenuti a farli effettuare, del presidente del tribunale competente per territorio, in relazione al luogo in cui le stesse devono essere effettuate.
      In relazione a specifiche ipotesi di denuncia, la Commissione può istruire un vero e proprio procedimento, al termine del quale può adottare provvedimenti intesi a far cessare il comportamento censurato. La
 

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procedura relativa, nel rispetto del principio di trasparenza, avrà particolare riguardo alle modalità con cui assicurare le necessarie garanzie a tutela della vittima. La procedura che si svolge avanti alla Commissione ha natura giustiziale ma non giurisdizionale e pertanto, qualora dovessero riscontrarsi ipotesi di reato queste sarebbero di competenza degli organi giudiziari.
      All'articolo 4 si definiscono i criteri per l'assunzione di personale pubblico da parte della Commissione (ricorrendo anche all'istituto del collocamento fuori ruolo), nonché per la redazione dei bilanci consuntivi.
      All'articolo 5, si introducono norme di carattere sanzionatorio, destinate a indicare le pene amministrative comminate a coloro che violino gli obblighi di informazione e di documentazione posti all'articolo 3. Le sanzioni amministrative sono modulate secondo importi pecuniari differenziati, in base alla circostanza che i soggetti obbligati possano rifiutare di fornire informazioni e documenti ovvero possano fornire informazioni non veritiere. Sanzioni sono inoltre previste nel caso di inosservanza dei provvedimenti adottati dalla Commissione per far cessare il comportamento lamentato.
 

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